Con l’introduzione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile è iniziata l’ascesa dell’impact investing in titoli azionari e obbligazionari quotati. Si tratta di un mezzo sempre più diffuso per perseguire direttamente obiettivi come gli SDG, che mirano a fare la differenza in aree come la lotta alla povertà (SDG 1 e 2) e la riduzione delle disuguaglianze sociali (SDG 5 e 10) attraverso gli investimenti anziché la beneficenza. Ciò differisce dall’investimento sostenibile, dove l’uso di fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) è inteso a ridurre al minimo gli aspetti negativi associati a tutte le attività d’impresa. A tale scopo, si può decidere di evitare le aziende con scarsi accorgimenti ambientali o coinvolte in problemi di corruzione. Tuttavia, questi investimenti non producono necessariamente un impatto sul campo; trovare le aziende con il più alto punteggio ESG rispetto ai concorrenti non contribuisce direttamente all’istruzione o alla salute in Africa. In particolare, un produttore di tabacco (che escludiamo dai nostri portafogli) può avere un punteggio ESG molto alto, ma dare chiaramente un contributo negativo all’SDG 3 (salute e benessere).

Il Global Impact Investing Network (GIIN), che è stato storicamente il regno dei fautori dell’impact investing, vede oggi aumentare lentamente le adesioni degli asset manager più tradizionali. Il GIIN è una risorsa importante, tra l’altro, per definire le caratteristiche fondamentali dell’impact investing e accedere a un database di misure d’impatto. Attualmente il network sta lavorando alla redazione di una guida all’impact investing in titoli azionari quotati, spiegando come questo differisce dall’investimento sostenibile. Investire in titoli quotati significa spesso investire in grandi imprese diversificate. L’impatto aggiuntivo delle aziende che hanno un solo prodotto o forniscono un solo servizio è più facile da determinare, ma richiede comunque un’attività di ricerca, poiché le loro operazioni possono comunque fare danni. Pensiamo a un’azienda di pannelli solari che non si prende cura dell’ambiente, non ha rispetto per le norme di lavoro nella filiera produttiva, o non smaltisce correttamente i suoi rifiuti. Nel complesso, un’impresa di questo tipo avrebbe un impatto netto negativo sulla società e sull’ambiente.

Nel nostro quadro SDG proprietario teniamo conto di tutti questi aspetti. Privilegiamo le imprese che generano più di un terzo dei loro ricavi dal contributo a uno o più obiettivi e che non producono effetti negativi in altre aree del loro business. Le aziende attive in mercati malserviti in base all’Indice di sviluppo umano (Human Development Index) ottengono crediti extra. Attribuiamo importanza anche alla proposta di valore: cerchiamo aziende che forniscono prodotti e servizi altamente efficaci in termini di costo, ampiamente disponibili, e quelle che incorporano importanti progressi tecnologici a un costo ragionevole. Non da ultimo, è importante avere un mezzo per misurare l’impatto, al fine di dimostrare che un investimento fa davvero la differenza, e nel descrivere le misure bisogna fare attenzione alle parole usate.

[Avvenire – L’economia civile 08.09.2021]