Gli Enti for profit che perseguono, accanto allo scopo classico della divisione degli utili, anche finalità di beneficio comune hanno la possibilità, a partire dall’approvazione della legge di Stabilità 2016, di assumere la forma giuridica di Società Benefit (SB). Nel 2021, le SB in Italia hanno superato quota mille unità, il doppio rispetto al solo anno precedente, a conferma di una crescita letteralmente esponenziale che sta proseguendo anche nel 2022. Un elemento fondamentale nella disciplina delle Società Benefit è rappresentato dal fatto che, annualmente, tali realtà hanno l’obbligo di produrre una Relazione di impatto pubblica, che metta di fronte ai propri azionisti e ai propri clienti quanto effettivamente realizzato per avvicinarsi al raggiungimento delle Finalità di beneficio comune dichiarate in Statuto. Ad oggi, non esiste ancora uno standard universalmente riconosciuto per tale Relazione ma, tuttavia, esistono dei requisiti minimi che devono essere soddisfatti e alcune metriche per la valutazione dell’impatto generato alle quali è possibile fare riferimento.

Le imprese socialmente orientate

Per “orientamento sociale” s’intende l’approccio attraverso cui una persona sceglie di gestire le relazioni con gli altri in modo empatico e propositivo. Le caratteristiche che contraddistinguono un soggetto orientato socialmente riguardano principalmente la comprensione delle emozioni e dei problemi altrui, con la finalità di aiutare a risolverli, la volontà di lavorare in gruppo per raggiungere collettivamente un obiettivo comune e coltivare la capacità di avere una visione collettiva non incentrata solamente sui propri fini. La nozione di impresa socialmente orientata fa riferimento a tali concetti, trasposti dal livello individuale alla realtà aziendale. La caratteristica che contraddistingue una società orientata socialmente è la volontà, da parte di tutti i soggetti che la compongono, di avere una missione comune da raggiungere, accompagnando allo scopo tradizionale dell’impresa, il profitto, obiettivi finalizzati a tutelare l’ambiente e migliorare il benessere delle comunità in cui l’impresa opera.

Sebbene la storia delle imprese socialmente orientate possa essere fatta risalire addirittura agli inizi del ‘900, grazie all’opera di imprenditori illuminati come Adriano Olivetti, è solo negli ultimi anni che esse stanno diventando un fenomeno in continua espansione, a livello globale. Tale processo ha portato anche alla definizione di nuovi standard, regole e forme giuridiche. Si pensi, ad esempio, alle L3C – le low-profit limited liability companies – caratteristiche dell’ordinamento statunitense, aziende con una mission principalmente orientata al raggiungimento di scopi sociali e, solo in secondo luogo, al profitto economico, o alle startup innovative a vocazione sociale denominate SIAVS le quali, come da acronimo, operano in via esclusiva in settori ad alto interesse sociale.

Anche in Italia, primo Paese al mondo dopo gli Stati Uniti, è stata introdotta formalmente a livello giuridico una nuova forma societaria, al fine di fornire un riconoscimento formale alle realtà aziendali che si distinguono per l’impegno nei confronti dell’ambiente e della società. Si tratta delle Società Benefit, alle quali sono associate anche una serie di oneri previsti, ai quali è necessario adempiere per potersi definire tali, fra cui l’obbligo di deposito di una Relazione di Impatto annuale.

Le Società Benefit

La disciplina delle Società Benefit è stata introdotta in Italia dall’art. 1, commi 376-384, della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (Legge di stabilità 2016). La norma introdotta non ha creato, di fatto, una nuova tipologia societaria ma ha aggiunto, integrando le previsioni del codice civile e delle leggi speciali applicabili, un nuovo status giuridico ai singoli modelli societari già esistenti nel nostro ordinamento. Gli Enti for profit che perseguono, accanto allo scopo classico della divisione degli utili, anche finalità di beneficio comune, e che mirano pertanto a generare un impatto positivo sull’ambiente e sulla società civile operando in modo sostenibile e trasparente, possono oggi fregiarsi dell’acronimo “SB” accanto alla propria denominazione sociale. A tal fine, il primo passo per divenire Società Benefit è modificare il proprio Statuto, inserendo nell’oggetto sociale alcune finalità di beneficio comune verso le quali s’intende orientare il proprio agire.

Società Benefit possono diventare tutti i tipi di impresa (le società semplici, quelle in nome collettivo, in accomandita semplice, le società per azioni, quelle a responsabilità limitata o in accomandita per azioni, le società cooperative e le società mutue assicuratrici) che s’impegnino per un bilanciamento dell’interesse dei soci con quello di altri portatori d’interesse. La qualifica di Società Benefit comporta specifiche conseguenze sul piano della disciplina, con riferimento alla nuova denominazione, dell’introduzione del duplice scopo nell’oggetto sociale, della necessità di individuazione di un soggetto interno della società per il monitoraggio del perseguimento del beneficio comune e, infine, della predisposizione di una Relazione di impatto annuale, in sede di approvazione del bilancio, nonché dell’osservanza di uno standard di valutazione.

Ad oggi, la qualifica di Società Benefit non garantisce particolari vantaggi dal punto di vista contabile e fiscale. In ogni caso, esistono delle agevolazioni come il “Fondo per la promozione delle Società Benefit”, istituito attraverso il c.d. Decreto Rilancio e la possibilità di un credito di imposta del 50% per recuperare i costi sostenuti in sede di costituzione o trasformazione in SB. Tale assenza di vantaggi fiscali, se da un lato costituisce un possibile ostacolo alla crescita del movimento e, a suo modo, un unicum rispetto al resto del mondo (si pensi agli Stati Uniti, dove le agevolazioni fiscali per enti di questo tipo sono molto rilevanti), rappresenta al contempo una garanzia rispetto alle reali motivazioni che spingono un’impresa a compiere la trasformazione, con vantaggi concretamente tangibili quali quelli i benefici reputazionali con la clientela e di motivazione e ingaggio delle proprie risorse umane.

I numeri delle SB

Se nel 2016 si parlava di Società Benefit come una prospettiva nuova, un fenomeno nato sulla scia del movimento B e delle B Corp (Benefit Corporation) statunitensi, oggi quella a cui ci si trova di fronte è ormai una solida realtà. Nel 2021, le SB in Italia hanno superato quota mille, il doppio rispetto al solo anno precedente, a conferma di una crescita letteralmente esponenziale proseguita anche nel 2022. Non vi è Regione della penisola che non presenti almeno qualche realtà produttiva caratterizzata dalla forma giuridica introdotta dalla legge entrata in vigore nel 2016, seppure circa la metà delle SB ha sede in Lombardia, che vanta un terzo delle SB totali, insieme a Lazio ed Emilia Romagna.

A dispetto della pandemia il numero delle Società Benefit in Italia è continuato ad aumentare. Un’ulteriore conferma di un successo annunciato, che sta delineandosi in maniera sempre più evidente, è l’inclusione a fine 2021 della categoria “Società Benefit” tra quelle contemplate nell’Oscar di bilancio, premio organizzato dalla Federazione Relazioni Pubbliche Italiana (FERPI) con Borsa Italiana e Università Bocconi, che viene assegnato fin dal 1954 alle imprese più meritevoli nelle attività di rendicontazione finanziaria e che rappresenta il riconoscimento più importante nell’ambito della comunicazione dei risultati di impresa ottenuti. In base alla forma e alla natura giuridica, i dati disponibili testimoniano come, tra le Società Benefit, la forma giuridica delle “Società di capitali” sia di gran lunga la più diffusa e, tra di esse, oltre l’80% è composto da società a responsabilità limitata.

FORMA/NATURA GIURIDICA % sul totale
Società di capitale 95%
Società di persone 2,5%
Società cooperativa 2%
Altre forme giuridiche 0,5%

Società Benefit e ripartizione in base alla forma giuridica.

La Relazione di valutazione d’impatto

Nonostante la norma consenta alle singole Società la libertà di scegliere quali finalità in concreto perseguire, è importante sottolineare che, al contempo, prevede che le suddette non siano generiche ma specifiche, in quanto andranno sottoposte a una verifica rispetto al loro perseguimento e misurate rispetto a un modello di valutazione di impatto del quale la società si dovrà dotare. Infatti, il loro perseguimento deve essere ottenuto in maniera trasparente, responsabile e soprattutto misurabile.

Un elemento fondamentale nella disciplina delle Società Benefit è rappresentato dal fatto che, annualmente, tali realtà hanno l’obbligo di produrre una Relazione d’impatto pubblica, che metta a disposizione dei propri azionisti e clienti informazioni chiare su quanto effettivamente realizzato per avvicinarsi al raggiungimento delle finalità di beneficio comune dichiarate. Si tratta di un aspetto fondamentale, utile a evitare i tristemente noti fenomeni di green-washing e social-washing, che fanno sì che l’impegno verso la sostenibilità sia solo una questione di marketing, senza un reale impatto sull’ambiente e sulle comunità.

La capacità di comunicare in maniera trasparente ed efficace la realizzazione del beneficio comune è uno degli asset strategici più importanti per una Società Benefit. La comunicazione non finanziaria, ovvero la redazione della Relazione d’impatto annuale rappresenta, infatti, non solo una importante opportunità di comunicazione e posizionamento, ma un vero e proprio strumento di gestione, relativo all’intero andamento della vita aziendale. Ad oggi, le Società Benefit sono le uniche realtà tra le imprese non quotate a dover redigere una comunicazione non finanziaria da allegare al bilancio, il che rappresenta un unicum nell’intera Unione Europea, con l’Italia che costituisce un esempio a cui guardare.

È quindi opportuno che lo Statuto riporti l’impegno degli amministratori a redigere una Relazione concernente il perseguimento delle proprie finalità, da allegare al bilancio, e l’impegno a individuare concretamente i soggetti che saranno responsabili della valutazione dell’impatto generato. Normalmente, si affianca a un Responsabile di Impatto interno, preposto al monitoraggio costante delle attività, un soggetto esterno con esperienza nell’ambito della valutazione di impatto, che individui il modello di valutazione più adatto alla società, selezioni indicatori universalmente riconosciuti in base ai quali misurare le azioni intraprese e, soprattutto, aiuti a impostare il piano di miglioramento che andrà valutato a cadenza regolare, perlomeno annuale.

Il Responsabile dell’Impatto, oltre a supportare gli amministratori nel mantenimento della coerenza con le Finalità identificate, si occuperà di valutare le aspettative degli stakeholder, individuando le sfide di medio-lungo periodo alle quali la società tenderà e gli obiettivi/azioni funzionali al raggiungimento del beneficio comune, da sottoporre ad approvazione degli amministratori. Infine, effettuerà una valutazione periodica degli impatti generati e sarà responsabile della predisposizione della Relazione annuale, in cui sia data evidenza delle attività realizzate per il perseguimento del beneficio comune, oltre che della definizione delle modalità più opportune per darne comunicazione e pubblicità.

Tale Relazione, infatti, deve includere la descrizione degli obiettivi specifici per il perseguimento del beneficio comune, delle modalità e delle azioni poste in essere e delle eventuali circostanze che ne hanno impedito o rallentato il perseguimento. Inoltre, dovrà indicare chiaramente quale standard di valutazione è stato utilizzato e la descrizione degli obiettivi futuri che la società intende perseguire nell’esercizio successivo, secondo il piano di miglioramento precedentemente citato.

La Relazione annuale, infine, deve essere pubblicata sul sito internet della società e, allegata al bilancio d’esercizio, depositata con esso al registro delle imprese secondo le disposizioni delle Società per azioni (codice atto 711, 712 o 718) soddisfacendo, in tale modo, il requisito della trasparenza previsto dalla normativa istitutiva delle Società Benefit. Ciononostante, non sembra che ciò sia sufficiente per affermare che la stessa debba essere oggetto di revisione, in quanto l’azione di revisione esterna svolge un controllo legale dei conti ed emette un giudizio sul bilancio predisposto dagli amministratori, con compiti di verifica contabile.

  La relazione annuale d’impatto
Quando deve essere prodotta? Annualmente, possibilmente entro i primi 6 mesi dell’anno.
Cosa deve includere? Descrizione degli obiettivi specifici e delle azioni attuate per il perseguimento delle finalità di beneficio comune;Valutazione dell’impatto generato attraverso standard di valutazione esterno;Descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo.
Dove deve essere pubblicata? Deve essere allegata al bilancio d’esercizio e pubblicata sul sito aziendale.
A cosa serve? I requisiti di trasparenza delle SB servono non solo per informare il pubblico (stakeholder) ma anche per informare gli amministratori, responsabili dell’impatto, e tutti gli azionisti (shareholder)

La Relazione annuale d’impatto

In quanto parte integrante dell’oggetto sociale, sul perseguimento del beneficio comune non si esclude che debba vigilare anche il Collegio Sindacale, al quale compete per dovere l’osservanza del rispetto dei principi di corretta amministrazione e, quindi, anche degli assetti organizzativi della società per perseguire le finalità sociali. Infatti, anch’esso dovrà tenerne conto nella propria relazione annuale. La Relazione (di valutazione) di impatto, qualunque sia lo standard scelto, deve valutare in maniera articolata l’impatto delle azioni poste in essere nel corso dell’anno solare, seguire metriche sviluppate da un Ente esterno e non collegato alla società, ed essere redatta da un soggetto con le competenze necessarie a valutare impatto sociale e ambientale, che utilizzi un approccio scientifico e multidisciplinare.

La certificazione B Corp

Ad oggi, la legge non ha individuato uno standard univoco da utilizzare, ma la valutazione di impatto ha normalmente come oggetto le aree di analisi corrispondenti anche alla certificazione B Corp – ovvero la corporate governance dell’impresa, i lavoratori, gli stakeholder principali e l’ambiente – rilasciata alle imprese a seguito di una rigorosa analisi che deve superare precisi standard in termini di impatto ambientale, sociale ed economico. Lo status di Società benefit e la Certificazione B Corp sono standard diversi, ancorché altamente complementari, che spesso vengono adottati congiuntamente, anche perché per le B Corp con sede legale in Italia sussiste l’obbligo di trasformazione in Società Benefit entro 2 anni dalla prima certificazione.

Lo stesso movimento delle B Corp è in forte e costante crescita: nel 2021, in Italia hanno superato quota 140, in crescita del 26% sull’anno precedente, con un fatturato totale pari a 8 miliardi di Euro e 15.000 dipendenti complessivi. Tale trend trova conferma a livello internazionale, con le B Corp che hanno raggiunto a inizio 2022 quota 5.000, con un incremento di oltre un terzo sull’anno precedente, un volume di affari di 155 miliardi di Euro e 438.000 addetti. Di esse, oltre 1.400 hanno sede in Europa, per un volume di affari pari a 45 miliardi di Euro e 120.000 addetti. Inoltre, in totale controtendenza rispetto a quanto vissuto dalla maggior parte delle aziende mondiali in seguito alla pandemia, dal 2020 le B Corp hanno visto crescere nel 66% dei casi il proprio fatturato, registrando per il 52% anche un aumento dei dipendenti.

A tal proposito, si è svolto nel mese di giugno 2022 l’evento internazionale “B for Good Leaders”, che ha visto riuniti a Roma i leader delle principali B Corp di tutto il mondo per discutere sul futuro del movimento. L’evento, al quale hanno preso parte oltre 700 persone, si è concluso con la firma del documento programmatico “B for Good Leaders Declaration”, contenente i principi chiave a cui fare riferimento per impegnarsi per una imprenditoria realmente sostenibile e rigenerativa. Nella tabella seguente si propone uno schema di sintesi e confronto tra le B Corp e le Società Benefit.

  B CORP SOCIETÀ BENEFIT
Cosa è? Una certificazione internazionalmente riconosciuta rilasciata dell’ente B-Lab. Una forma societaria introdotta in Italia a partire dal 2016.
Quante sono in Italia? 140+ 1.000+
Requisiti: trasparenza L’azienda deve rendere pubblico un rapporto che valuta il suo impatto complessivo, redatto secondo uno standard indipendente. Uguale alle B Corp certificate.
Requisiti: performance Verificate e certificate dal B Lab attraverso lo standard B Impact Assessment. Auto-dichiarata.
Verifiche permanenti Rinnovo della certificazione ogni due anni. Relazione di impatto annuale.
Oneri economici La tariffa annuale per la certificazione B Corp varia tra 500 € e 50.000 €, in base al fatturato annuale dell’azienda. Legati alle modifiche statutarie aziendali. Maggiori informazioni su www.societabenefit.net

B Corp e Società Benefit a confronto

Le metriche per la valutazione dell’impatto

Alla luce di quanto descritto appare evidente quanto il mondo delle B Corp sia strettamente interconnesso con quello delle Società Benefit, specialmente in relazione all’utilizzo delle medesime categorie di riferimento per la valutazione dell’impatto generato. A tal proposito, l’urgenza di individuare strumenti adatti a una corretta valutazione dell’impatto ambientale e sociale delle imprese è al centro di un dibattito che si protrae da diverso tempo.

Tale urgenza è emersa in modo estremamente evidente anche a seguito dell’introduzione, da parte del legislatore europeo, dell’obbligo di rendicontazione non finanziaria per le imprese di grandi dimensioni, pur senza stabilire precisi framework obbligatori di rendicontazione. Al contempo, anche le Piccole e Medie Imprese (PMI) rilevano in modo sempre più pressante l’esigenza di individuare opportuni indicatori e adottare precisi criteri di valutazione. Attualmente, esistono diverse metriche volte a identificare e comunicare gli impatti generati su ambiti quali l’economia, l’ambiente e la società in generale. Tuttavia, esse presentano numerosi limiti e non esiste un unico standard di riferimento.

Le norme ISO rappresentano, ad esempio, lo standard di certificazione più utilizzato a livello mondiale. Nel corso della propria attività, l’International Organization for Standardization ha pubblicato più di 22.000 standard, ognuno dei quali si occupa di un aspetto specifico, che riguarda una vasta gamma di attività, dalla produzione, alla gestione dei processi lavorativi fino alla fornitura di materiali o servizi. Tali standard rappresentano un aspetto fondamentale nello scenario globalizzato nel quale oggi viviamo e ancor di più nelle imprese che puntano all’internazionalizzazione dell’azienda. Tra le standardizzazioni più note, si ricordano la ISO:37001 relativa alle misure e ai controlli anti-corruzione, la ISO:45001 per la sicurezza sul lavoro e la ISO:14001 sulla gestione ambientale. Tuttavia, la norma che più di tutte ha trovato maggiore applicazione a livello globale è la ISO:9001, che definisce i requisiti dei sistemi di gestione della qualità nei luoghi di lavoro. Tale standard è il riconoscimento internazionale che attesta la capacità di una impresa a operare secondo criteri qualitativi volti a garantire la massima efficacia in un determinato mercato, rispettando le richieste dei propri clienti e assicurando un costante orientamento al risultato e al miglioramento continuo. I vantaggi derivanti da tale certificazione riguardano, perlopiù, aspetti interni, relativi alla definizione di migliori e più efficienti procedure di funzionamento, ma anche aspetti esterni, a livello reputazionale e in merito alla possibilità di partecipare a nuove opportunità di business in mercati per i quali l’accesso è vincolato dal possesso di tale certificazione.

Parallelamente ai succitati standard di certificazione si sono sviluppati, specialmente negli ultimi anni, i cosiddetti rating ESG, allo scopo di fornire giudizi sintetici sulla sostenibilità dell’operato di enti di diversa natura e forma giuridica. A livello finanziario, sono considerabili come giudizi che certificano la solidità di un emittente, di un titolo o di un fondo dal punto di vista degli aspetti ambientali (E), sociali (S) e di governance (G). L’elaborazione di tali rating avviene ad opera di agenzie specializzate nella raccolta e analisi di dati relativi alla sostenibilità dell’attività delle imprese, le quali utilizzano come parametri di riferimento prevalenti la riduzione delle emissioni di CO2, l’efficienza energetica e l’utilizzo delle risorse naturali per il settore ambientale, la qualità dell’ambiente di lavoro, le relazioni sindacali, il controllo della catena di fornitura e il rispetto dei diritti umani per l’aspetto sociale. Inoltre, essi tengono conto anche di questioni quali la presenza di consiglieri indipendenti, di politiche di diversità nella composizione dei consigli di amministrazione o della remunerazione del top management collegata a obiettivi di sostenibilità per l’aspetto della governance. Nati come strumento di valutazione sui mercati finanziari, i rating ESG sono cresciuti grazie alla diffusione di una sempre maggiore consapevolezza del potenziale ruolo della finanza sostenibile e dei suoi strumenti di sviluppo, con i player della finanza che si rendono conto sempre più spesso della necessità di produrre un impatto reale, non solo a livello economico.

Naturalmente, anche i principali organismi internazionali, governativi e non, hanno iniziato negli anni a introdurre proprie metriche e propri standard di riferimento. Tra gli indicatori più utilizzati a livello mondiale figurano gli SDGs (Sustainable Development Goals) delle Nazioni Unite, i 17 obiettivi che dal 2015, con l’adozione dell’Agenda 2030, definiscono la linea d’azione mondiale verso lo sviluppo sostenibile globale. Ciascun SDG è suddiviso in sotto-obiettivi, o target, che precisano verso quali sotto-sfide concrete indirizzare gli sforzi comuni: in totale, ai 17 SDGs corrispondono ben 169 target, che permettono di approfondire e delineare meglio il proprio obiettivo, che altrimenti resterebbe alquanto generico. Inoltre, a ognuno dei 169 target sono anche stati assegnati uno o più indicatori, allo scopo di fornire strumenti semplici per misurare il raggiungimento del target stesso, con tanto di spiegazione sul come deve esserne misurato il conseguimento.

Parallelamente, è fondamentale per le imprese che rendicontano il proprio impatto anche tenere conto dei GRI Standard, ovvero i parametri della Global Reporting Initiative (ente non profit fondato a Boston nel 1997) che includono i principali aspetti ambientali, economici e sociali che ogni attività dovrebbe rispettare per potersi definire realmente sostenibile. Storicamente, gli standard GRI sono stati caratterizzati da una struttura fortemente modulare, che ha portato alla loro suddivisione in tre macro-categorie (Topic standards): “Economia” (GRI 200), “Ambiente” (GRI 300) e “Sociale” (GRI 400). Tuttavia, a partire dal mese di ottobre del 2021, la Global Reporting Initiative ha lanciato i nuovi Universal standards, chiamati anche “Indicatori Universali”, i quali andranno a integrare, a partire dal 1° gennaio 2023, quelli attualmente esistenti. Nello specifico, il lavoro sui tre Topic standards andrà revisionato sulla base dei nuovi Universal standards, relativi ai principi della rendicontazione GRI (GRI 1), alle informative sulle pratiche di rendicontazione (GRI 2) e alla selezione dei cosiddetti “temi materiali” (GRI 3). In tale contesto di costante aggiornamento, per di più, incombono le nuove normative relative alla tassonomia dell’Unione Europea e agli ESRS (European Sustainability Reporting Standards) realizzati da EFRAG (lo European Financial Reporting Advisory Group), attesi per il 2023 e che potrebbero causare, perlomeno in Europa, un drastico aggiornamento nell’utilizzo delle suddette metriche.

Conclusioni

Le Società Benefit rappresentano un fenomeno in crescita esponenziale, che dimostra come la tematica della sostenibilità sia divenuta ormai imprescindibile e interconnessa al modo stesso di concepire il “fare impresa”. Al contempo, tuttavia, diventare Società Benefit comporta degli obblighi ai quali attenersi, fra cui il più rilevante può essere considerato quello relativo alla pubblicazione di una Relazione d’impatto annuale, che certifica e comunica le modalità attraverso le quali sono state perseguite le finalità di beneficio comune dichiarate in Statuto.

A tal proposito, poiché attualmente non esiste ancora uno standard universalmente riconosciuto, ma solamente requisiti minimi che devono essere soddisfatti, è fondamentale che il responsabile di impatto sia a conoscenza delle principali metriche per la valutazione dell’impatto generato che è possibile utilizzare per garantire un maggiore livello di accountability alla relazione della propria azienda.

Accanto a norme internazionalmente riconosciute, come le ISO e agli standard di valutazione ESG, è oggi possibile prendere in considerazione l’utilizzo di metriche e indicatori messi a disposizione dalla comunità internazionale, fra cui gli SDG, i GRI e, potenzialmente a breve, anche la nuova tassonomia dell’Unione Europea. Qualunque sia lo schema che si propone per la Relazione dell’impatto, pertanto, appare fondamentale ricordare che essa costituisce un documento legalmente vincolante, al pari del bilancio di esercizio, il che rende l’impegno verso l’ambiente e le comunità una questione di estrema rilevanza, che deve essere gestita in modo professionale e da un soggetto adeguatamente preparato.

[Articolo pubblicato da Paolo Rossi - Promos e Davide Maggi - Università del Piemonte Orientale,
per la rivista Bilancio e Revisione n. 10/2022]